Poniamo di aver acquistato un iMac (non l’ultimissimo, quello uscito ieri, ma il modello immediatamente precedente) per il nonno.
Poniamo di accenderlo: all’accensione, una schermata chiede: «Che c’hai della roba su un altro Mac che vorresti qui?»
Guardando l’iMac rosa lì accanto, risalente al 2000, pensiamo «e certo!» e clicchiamo su “Sì”.
Beffardo, quello nuovo ci dice: «Va bene: attaccami all’altro con il cavo firewire, e riavvialo tenendo premuto “T”».
Ipnotizzati, eseguiamo… ci vorranno circa venti minuti, dice.
Passati i venti minuti, ci chiede di scollegare il cavo firewire. Alla schermata di login, accediamo al sistema con le solite credenziali – come password, rigorosamente, la data di nascita – e ci ritroviamo di fronte al wallpaper che c’era sull’altro computer.
Beh, nulla di difficile.
Ed i documenti sono tutti al loro posto.
Che ci vuole, in fondo.
Anche la posta e le impostazioni di sistema, quindi siamo già in rete.
Beh, nulla di troppo complicato.
Anche tutte le applicazioni sono lì al loro posto, ed i collegamenti occhieggiano dal dock. Ne apriamo un paio: funzionano. Anche se alcune sono state compilate per un processore PowerPC, mentre adesso stanno girando felici su un Intel Core 2 Duo.
Mentre ce ne andiamo, ripensiamo ai brividi freddi che ci tormentano quando un amico compra un nuovo pc e ci chiede di trasportare i suoi dati. La mente corre a smontaggi e rimontaggi di hard disk, a cercare di trasferirli via rete ma no, non si può fare perché il vecchio pc non aveva una scheda di rete, o ce l’aveva troppo lenta, oppure quei cavi usb che esportano usb-storage da entrambe le parti ma no, perché sul vecchio c’era solo una usb 1.1. E quando il problema del collegamento fisico dei due computer viene in qualche modo risolto, siamo nelle mani di “Trasferimento guidato file ed impostazioni”, un programmino scritto in fretta, con il nome più lungo di quello che fa.
Anche se saremo riusciti a trasferire i dati, l’amico ci informerà che lui usava sempre “FlipperSheet”, un bellissimo foglio di calcolo con flipper treddì integrato che aveva sul pc vecchio, e lo vorrebbe anche sul nuovo. Alla richiesta del cd di installazione ci ride in faccia, ed iniziamo a trasferire a mano file, chiavi di registro e dll, nella speranza che vada… speranza vana, dopo mezz’ora di ricerche in rete scopriamo che non gira con XP.
Per fortuna gli amici che usano Linux non ci chiamano per migrare i loro dati… ma se chiamassero, una copia bruta della home basterebbe. Se servisse avere subito tutti i programmi già installati, probabilmente una copia dell’intero hard disk farebbe il suo lavoro – metodo crudo, ma efficace per riavere il sistema esattamente com’era. Anche se occorrerebbe aggiornare almeno il bootloader ed eventualmente il kernel… ma ci siamo capiti. Più plausibile che l’incubo Windowsiano, ma comunque distante dal “collega il cavo, riavvia premendo T ed aspetta”.
Uso principalmente un PC compatibile per un sacco di motivi; credo che di strada da fare, per avvicinarci all’immediatezza di casa Apple, ce ne sia ancora parecchia. E non basta scopiazzare gli effetti grafici: la differenza sta in piccolezze come questa della migrazione. Nel poter creare un array RAID trascinando le icone degli hard disk, nell’avviare apache e samba con una spunta, nell’avere la cartella home crittografata in modo trasparente con un paio di clic.
Linux “prende spunto” ed in qualche caso migliora. No, Compiz Fusion non ha più stile di Aqua, per ora è solo un’accozzaglia di effetti grafici carini e qualche volta utili. Un’accozzaglia che uso ed aspettavo da parecchi anni, ma è un altro discorso.
Windows si fa gli affari suoi, e quando scopiazza dimostra di non aver capito ciò che sta copiando. In qualche modo, però, evolve anche lui e sono curioso di vedere che piega prenderà negli anni a venire.
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