43folders ci insegna come diventare maestri di tagging-fu.
I consigli sono piuttosto sensati. Il primo è ovvio (sempre in guardia, quando qualcosa sembra ovvio! Le mani del diavolo compiono gesti banali!): concentrarsi su cosa si sta per etichettare. Differenti classi di oggetti richiedono tag differenti.
Il problema delle duplicazione è meno evidente: ad esempio, la maggior parte delle macchine fotografiche digitali inserisce automaticamente il produttore, il modello, la data e molti altri dati nei tag exif. Gli mp3 hanno già un autore, nei tag id3. Non ha senso ribadire queste informazioni assegnando ulteriori etichette, a meno che il sistema incaricato di gestire le etichette non sia del tutto sprovvisto di mezzi per estrarre questi metadati.
Il terzo consiglio è il più interessante: stabilire delle categorie.
Per quanto si possa essere tentati di affibbiare ad una foto tag come “Mare Blu Cielo Azzurro Gabbiani Sabbia Vacanza”, questo porta in fretta ad una massa poco organizzata che finisce per perdere la funzione primaria di aiutare nella ricerca. E’ probabile che, andando alla cieca, si finisca per dimenticare etichette o per duplicarne altre.
Stabilendo a priori delle categorie, invece (Luogo, Evento, Persone, Cose, per citare classi piuttosto banali) ed assegnando tag che rientrino nelle categorie, l’insieme di etichette acquisisce spontaneamente una sua coerenza.
Effetti collaterali? Più d’uno, ovviamente:
- Progettare le categorie a tavolino può portare via del tempo
- E’ irrealistico pensare di progettare delle categorie perfette: con il tempo, si troveranno senz’altro classificazioni più razionali od efficaci. Ed i dati già “taggati” secondo i canoni obsoleti? O si riprendono in mano e si rietichettano, o bisogna sopprimere l’impulso ossessivo-compulsivo e tenersi dei dati poco accurati. (Sono solo io ad avere di queste turbe? Spero di no, miei geekissimi lettori)
- Nell’inutile articolo precedente, “Tag“, si esaminava un’importante vantaggio del tagging dal punto di vista cognitivo: eliminare quel momento di blocco a cui il cervello va incontro quando deve tradurre la propria percezione, basata per natura su etichette quanto mai variopinte e differenziate, in una rigida categorizzazione imposta dall’alto. Beh, rispondere alle domande: “Dove ho scattato questa foto? In che occasione? Ci sono delle persone? Quali? Ci sono degli oggetti importanti? Quali?” è senz’altro più facile che dover stabilire se la foto in questione stia meglio nella cartella “Vacanze” piuttosto che in “Sicilia” piuttosto che in “Vercingetorige”, ma è comunque più laborioso che affibbiare una manciata di tag a caso, i primi che vengono in mente.
Sono sinceramente curioso – come lo ero quando scrissi il primo articolo – di sapere se il tagging prenderà davvero piede o sarà rimpiazzato da qualche altro sistema di classificazione. Si è già timidamente affacciato anche sui nostri desktop, sia nei programmi che gestiscono collezioni di fotografie (sì, pare che questa sia proprio la killer application) che in ambiti più esoterici: tanto Spotlight quanto Tracker consentono di aggiungere tag ai file per facilitare la ricerca.
Tuttavia, sono convinto che la stragrande maggioranza degli utenti organizzi ancora i propri dati utilizzando gerarchie di cartelle – in qualche caso neppure quelle, ma spero sia l’eccezione e non la regola.
Probabilmente questo avviene anche in mancanza di una implementazione seria e consistente in ambito desktop.
Sì, perché se perdo tempo ad assegnare tag ad un file vorrei che questi diventassero parte integrante del file, che rimanessero legati ad esso anche se viene spostato o rinominato, che fossero interpretati correttamente da ogni applicazione: i programmi che attualmente forniscono una struttura di ricerca basata su etichette, invece, per lo più si appoggiano a database esterni quanto mai labili e sommamente incompatibili tra di loro, com’è ovvio – anche se non dovrebbe esserlo, in un mondo giocoso e colorato.
Forse c’è da sperare che i filesystem si dotino tutti delle strutture adeguate a contenere metadati e ad operare ricerche su di essi. Fintanto che il 99% delle nostre pendrive sarà formattata in FAT, un filesystem di appena trent’anni fa, credo che più che di speranza si possa parlare di un bel sogno.
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