Momento di riflessione: quanti simboli occupano lo spazio fra il (banale) concetto nel mio (banale) cervello e la sua più o meno fedele trascrizione nel tuo, dopo aver letto ciò che ho scritto?
Mi fermo a guardare una “A” e penso al potere di quel segno sul tasto, che diventa file di pixel, che ritorna astrazione. Vivo in un mondo di simboli che giocano a diventare più reali di ciò che rappresentano.
Pensando a questi concetti (banali) che tanti altri hanno simbolicamente espresso meglio di me, mi sono ritrovato in un enorme capannone, dove file e file di pistoni cromati si muovevano con precisione matematica. Ognuno schiacciava impietoso una persona in una sequenza limitata di caratteri, stampati ordinatamente in Times su strisce di carta riciclata: poiché era tutto gratis, ho raccolto qualche chilometro e l’ho appeso al portachiavi.
«Poi me li unzippo a casa.»
Per tornare ho preso l’autobus. Che freddo, però.
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