Breve vademecum per non impazzire di fronte alle interfacce ostiche
Può capitare – e di solito capita spesso, per i motivi più disparati – che siate costretti ad usare proprio quel programma dall’interfaccia scomodissima, che avete accantonato e deciso di non usare mai più perché vi provocava una ferma volontà di suicidio.
Ecco una serie di domande che potrà guidarvi nell’esplorazione, cercando di salvaguardare la vostra sanità mentale.
Ma l’autore ha mai usato il programma che ha scritto?
Se la risposta è no, gettate pure la spugna: non è così raro imbattersi in programmi scritti in fretta e furia da qualcuno per qualcun altro, e non è neppure così raro che qualcuno e qualcun altro non si conoscano per nulla (e se si conoscessero passerebbero le giornate a sputarsi in faccia).
In simili condizioni non ha senso pretendere che l’interfaccia sia utilizzabile.
Se, invece, con buone probabilità l’autore è anche utente del programma, possiamo porci la seconda domanda.
Ma l’autore usa lo stesso sistema operativo/browser/ambiente che uso io?
Ecco il secondo scoglio. Quel sito completamente inutilizzabile con Firefox può essere un gioiello se visto con Explorer; l’interfaccia di iTunes o Safari sembra decisamente fuori posto in Windows, ma vi assicuro che quando queste due applicazioni girano “a casa loro” in OS X la musica è diversa.
Anche in questo caso c’è poco da fare: se non potete mettervi nelle condizioni ideali per far girare l’interfaccia, probabilmente la scomodità non se ne andrà. Nel caso possiate, passiamo alla terza domanda…
Ma l’autore usa le stesse funzioni che uso io?
Domanda non del tutto scontata, ma rilevante. Perché il programma accende il modem e cerca di telefonare alla polizia quando scrivete una lettera accentata? Probabilmente perché l’autore non ha mai usato lettere accentate, ed ha previsto la possibilità di farlo solo per completezza o perché qualcuno come voi ha rotto le scatole con (non sufficiente) intensità.
Ma poniamoci nel caso migliore: sì, il programmatore usa le vostre stesse funzioni nello stesso ambiente operativo. Viene da chiedersi…
L’autore è masochista?
Nella stragrande maggioranza dei casi no, ed il problema è che l’interfaccia fallisce in un punto cruciale: comunicare la propria filosofia d’uso.
Perché è così scomodo spostare le finestre con il mouse? Forse perché non serve farlo.
Spesso, quando percepiamo un’interfaccia come scomoda, stiamo cercando di usarla impropriamente. Anni di Windows, ad esempio, ci hanno abituato all’idea che ogni finestra abbia un proprio menù… né OS X né, ad esempio, Amiga Workbench partivano da questo assunto – ed in effetti è più facile raggiungere un menù posto nella parte alta che uno condensato in una striscia di pixel in mezzo allo schermo, ma non divaghiamo.
Può capitare che, investendo un po’ di tempo per cercare di capire come il programmatore intendeva farci utilizzare la sua interfaccia, la stessa si dimostri meno ostica del previsto. Non è una ricetta universale, ma in qualche caso salva la pelle.
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