Delusione

Ho visto spesso la delusione nascere come speranza irrealizzata. Pare che sia sufficiente il venir meno di un evento semplice e molto probabile, in cui per qualche motivo si era riposta anche poca speranza, per generare delusione.

Non è sempre stato così. Da bambino speravo con un’intensità che adesso non conosco più, e la mia delusione era ragionevolmente proporzionata al desiderio. Crescendo, avevo fatto mia una filosofia semplice ed efficiente: non sbilanciarsi mai, nell’inseguimento di un desiderio (per stupido che fosse) e tenerne sempre a portata di mano uno di riserva, più semplice da soddisfare. Una strategia per difendermi dai violenti desideri e dalle violente delusioni dell’infanzia.

Adesso credo di aver perso quella calma artificiale, e mi capita di provare desideri miti e delusioni sproporzionate: un brillante esempio di pessimizzazione. Ironico, considerando che ricordo di aver consigliato spesso di non vivere nel futuro: il presente è discretamente certo e controllabile, dicono, mentre il futuro, per quanto immediato, spesso non dipende da noi.

Tutto questo, unito all’etichetta di imbecille (viziato) che una parte di me mi attribuisce senza mezzi termini quando mi rammarico per una gelateria chiusa, una pioggia improvvisa o un pomeriggio che già si pregustava votato alla dea Abitudine che viene storpiato da un imprevisto (sono così rari, i pomeriggi… appena uno al giorno.)

Che ci sia bisogno di qualche delusione vera per riguadagnare il perduto senso della misura?

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