Le cose sono due: o di te mi importava qualcosa già allora, oppure no.
Se la tua presenza, ai tempi, mi era indifferente le tue attività odierne mi interessano come mi interessano quelle di uno sconosciuto incontrato dal panettiere. Più di quanto io ammetta razionalmente, ad essere sinceri; in fondo sono curioso, e se sai raccontare le cose nel modo giusto potrei ascoltarti sinceramente interessato.
Non ripetere lo stesso concetto più di un paio di volte, non fare troppe pause drammatiche che presuppongano una mia risata o un mio applauso, ché ridere controvoglia mi sfianca, e magari inserisci qualche dettaglio personale ed un po’ di ironia intelligente nel discorso. Non cercare di essere più saccente di me, o questa città diventerà troppo piccola per tutti e due. So di saperne di meno e di aver da raccontare anneddoti meno interessanti dei tuoi: fammelo notare, e continuerò a sorridere mentre desidererò vedere la tua carcassa straziata dai pangolini letali del Congo.
(Se, leggendo questo blog, ti rompi le scatole, puoi smettere ed andare a farti un panino. Io non ho altrettanta libertà se ti incontro alla fermata dell’autobus.)
Se, invece, eravamo amici o comunque legati da qualche rapporto umano che travalicava la convivenza forzata in qualche gruppo sociale, cosa me ne importa se hai finito l’università, se lavori come levigatore di suole in gomma o se hai rivisto qualcuno della classe (per non parlare dell’improbabile pizza tutti insieme)? Raccontami ancora una volta quella storia che raccontavi sempre, o fammi ripensare a qualche episodio che avevo dimenticato, o ancora meglio dimmi cosa pensi alla mattina, quando ti svegli, o se ti piace camminare nelle strade deserte qualche minuto dopo il tramonto.
O se ti manca qualche tuo amico che non vedi da tanto, o se hai capito come si fa a godere delle piccole cose, o se sia il caso di concludere sempre e comunque con una battuta banale.
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