Quando l’utente ha a che fare con i dischi, manipola file.
Vuole salvare le impostazioni dei propri programmi proprio come salva le proprie foto.
Non gli interessa se le impostazioni sono archiviate in database indicizzati per incrementare le prestazioni, se sono organizzate in alberi binari ridondanti e replicati in modo trasparente in punti oscuri del filesystem: lui vuole fare il backup di un file, al massimo di una cartella, e vuole essere sicuro di poter rimettere i file al loro posto dopo un catartico resettone e trovare tutto com’era prima.
Un*x funziona così da una vita, e salvare tutte le impostazioni di un utente equivale di solito a copiare da qualche parte il contenuto di /home/nomeutente. C’è anche maggiore granularità, se serve: le impostazioni di ogni singola applicazione sono contenute in un file .impostazioni, o al limite in una cartella .cartella_impostazioni. Di solito le impostazioni sono file di testo, leggibili da occhio umano; in qualche caso xml.
Salvare la configurazione del sistema si riduce a fare il backup di /etc, magari di /var…
L’utente non vuole creare un disco di ripristino che riporti tutto come era all’origine, bloatware incluso.
Non vuole esportare ed importare.
Vuole gestire file, semplicemente.
E’ così difficile?
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