Stava per nascerne un altro, poi il pensiero killer: “ha diritto alla diversità!”.
Il nuovo nato sarebbe stato incomprensibile, quindi ho fatto l’appello fra i veterani del gruppo.
Hanno risposto tutti, evidentemente sanno come si chiamano. Non io, che devo affidarmi ad un elenco. Brusio.
“Guarda come sono bello! Per una volta, presentami a quel tuo amico che ti fa conoscere un sacco di gente noiosa.”
“Non puoi non essere bello, idiota. Facciamo un discorso a base di scarafaggi.”
“Che presunzione, pensare che un emulo o un clone dia fastidio a qualcuno…”
“Che presunzione, decidere di far nascere emuli o cloni. Sia per loro, che per chi li subirà.”
“Sai che quasi tutti noi rimarremo inascoltati per sempre? E quei pochi che ascolteranno, li scambieranno per qualcun altro. Perché in fondo l’umanità è una.”
“Non ti è mancata la buona volontà, durante il concepimento, semmai la capacità. Come pensi che uno di noi possa far innamorare qualcuno, se parliamo sempre e solo di te e sempre con le stesse parole?”
Li ho zittiti. C’è qualcosa di disonesto nel lasciarli parlare così (o meglio, nel riportare le loro opinioni senza tagliare il superfluo).
Ci tengo che la gente li conosca, sono figli miei. Ma il tempo altrui è così limitato che preferirei evitare di obbligare il prossimo a guardare le diapositive delle mie vacanze.
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