42 – oiggaiV (e addendum)

Cammina cammina, eccomi arrivato al luna park.

La scimmia è appollaiata sulla spalla sinistra. Questa sera è loquace. Il suo mormorio è una presenza costante, nella mia vita… anche quando esagera è il mio strumento principale per capire la realtà. Senza il suo flusso continuo di parole probabilmente mi sentirei perso. O forse no, dopotutto un fiore è un fiore… ma non divaghiamo.

“Casa dei carrelli in moto”, recita l’insegna arcuata all’entrata dell’attrazione. Beh, che sia una casa è positivo. Chissà perché tutte le attrazioni di questo tipo sono “case”. E’ piacevole, sentirsi a casa; forse è per questo che le case infestate fanno tanta paura. Infestatemi tutto, ma non la casa. Signore degli usci, fa’ che io possa sempre chiudermi in casa e lasciar fuori i demoni che mi inseguono.
Quanto ai carrelli in moto? Sono curioso, entro. E’ gratis.

Su ogni carrello c’è spazio per parecchi passeggeri, ma ho i miei tempi: preferisco sperimentare da solo, con calma. Poi, quando mi sento a mio agio, posso condividere l’esperienza senza timore di esporre il prossimo a rischi inutili o noia eccessiva. Magari il secondo giro lo farò in compagnia, per adesso saliamo.
Io e la scimmia, intendo. Si guarda in giro, muta… non per molto.

Salgo sul carrello ed aspetto che si muova. Siamo in un lungo tunnel, fuori dal tempo. Non vedo la fine. Le pareti in pietra nera, opaca, avvolgono decine di rotaie.

«Allora? Non posso aspettare qui fino a domani!»
Voleva suonare scherzosamente impaziente (o impazientemente scherzoso), ma l’atmosfera solenne mi gioca un brutto scherzo. Spero che nessuno mi abbia sentito o si sia offeso; è così difficile controllare le proprie parole, quando non puoi aspettare di averle rilette due o tre volte prima di premere invio. Ci si perde in spontaneità, certo, ma si guadagna in chiarezza.
La scimmia finalmente si ricorda di essere con me: indica una fessura nella parte anteriore del carrello. “Insert coin”, direi. Il mantra della mia infanzia e non l’avevo riconosciuto.

Mi frugo in tasca, ma la scimmia ha un consiglio migliore: «Guardati in giro…»
E’ vero. Fluttuano per aria, i gettoni, sospesi da chissà quale magia. O effetto speciale. O… insomma, chi se ne frega. Fluttuano.

Ne raccolgo una manciata, li inserisco con metodo ed il carrello si muove senza scossoni. Accompagnato da una melodia affatto spiacevole.

Neppure dieci metri e rallenta, la musica diventa greve. Direi che è il caso di inserire altri gettoni e vedere che succede.

Ad ogni nuovo gettone, il carrello accelera.
Vediamo a che velocità arriva, allora!
Forse il fulcro dell’attrazione è questo: una sorta di gara, in cui vince il più lesto ad acchiappar gettoni. Mi sarei aspettato qualcosa di più originale, ma la verità è che spesso crediamo di cercare novità ma stiamo cercando le solite cose con una maglietta diversa. Non c’è niente di più rassicurante del classico… ma senza un piccolo badge “beta” o “2.0” mostriamo il fianco al fastidioso tarlo della noia, e quello addenta spietato. Non fa nulla di costruttivo se non star lì e ripeterci che non dovremmo divertirci, perché una cosa l’abbiamo già fatta, e rifatta, e rifatta. Brutta bestia.

Il carrello corre, ma non sono sicuro di volerlo far sfrecciare più in fretta di così. Le montagne russe le proverò un’altra volta. Visto che posso scegliermi la velocità, cerchiamo di non esagerare.

«Quindi è un gioco di abilità, e non solo. Più vai veloce, più gettoni raccogli; una funzione il cui valore è semplicemente proporzionale alla pendenza è esponenziale, quindi la velocità tenderebbe all’infinito… senza la relatività di mezzo, e se la tua abilità nell’acchiappare ed inserire gettoni non avesse limite, ovviamente, e se la melodia non diventasse un po’ fastidiosa all’aumentare del ritmo. Del resto c’è anche un limite inferiore, perché la musica triste ti impedisce di rallentare troppo. Se smettessi di inserire gettoni ti fermeresti… e cosa diventa, una musica, se rallenti il tempo fino a zero? Una singola nota? Oppure il silenzio, visto che anche una singola nota ha comunque una sua frequenza, una sua periodicità…»

Guardo la scimmia, e quella tace.

«No, no, continua… mi interessava… sicché dici che se ci fermassimo…»
«In realtà non lo so, sono i limiti della speculazione. Sai, spesso per capire una novità devi esplorarne gli estremi: ti piace il sushi, ma quanto puoi mangiarne prima di stare male? Credi di poter fare a meno della televisione, ma quanto tempo puoi resistere senza guardarla?»
«Mi fermo?»
«Se hai abbastanza gettoni per ripartire, prova. Ehi, guarda quelli.»

Mi affianca una comitiva. Saranno in cinque, in sei… la scimmia incalza:

«Beh, ecco cosa succede a salire in tanti sul carrello. Il carico è maggiore, ed a parità di gettoni inseriti il carrello va più lento; di contro, ci sono più mani a raccogliere e conservare gettoni, quindi probabilmente il movimento è più fluido. Buffering, lo chiamano.»
«Varrà la pena di caricare così il carrello? Non si corre il rischio di non riuscire ad inserire abbastanza gettoni, e quindi di muoversi come lumache?»
«Stai partendo dal presupposto che andare lenti sia di per sé un male. Benzodiazepina, non toccarmi la tristezza! E poi, se ci si ferma almeno non si è soli. Uno può andare avanti e tornare indietro con un po’ di gettoni per far ripartire tutta la baracca.»
«Questo puoi farlo anche da solo.»
«Sì, ma devi fermare per forza il carrello.»

Perso nella conversazione con la scimmia, ho raccolto pochi gettoni. Sento la musica rallentare… non è piacevole, è vero, però ascoltarla in questo lungo tunnel ha un che di maestoso.

Vengo raggiunto da un ragazzo allegro con carrello in tinta. Mi guarda, mi squadra, sorride.
«Siamo alle solite? Vedi metafore dappertutto? E’ solo un parco giochi, filosofo!»

Devo averlo già visto da qualche parte. Filosofo, io? No, non sono un filosofo… mi stavo godendo il panorama.
«Tieni, almeno acceleri e la pianti con questo strazio.», urla, e mi lancia una manciata di gettoni.

Accidenti, un po’ rude da parte sua. Non contempla il fatto che rallentare potesse essere una mia scelta… ma lo facciamo tutti, si passa il tempo a misurare la vita degli altri con il proprio metro. E va bene, dunque, acceleriamo. Anzi, ora lo supero e gli faccio vedere! Sarò io a lanciargli gettoni!

Le buone intenzioni si spengono sempre troppo in fretta. Assorto nel compito di mantenere la velocità costante e rimuginando sulle mie preferenze musicali (così va bene? Meglio un po’ più veloce? O un po’ più lenta?) ho rinunciato alle gare di velocità. Non sono poi così competitivo, di natura.
Ma… un carrello fermo!

Dentro c’è un uomo seduto a gambe incrociate, gli occhi chiusi.

«E’ fermo, scimmia. Secondo te ha bisogno di una mano? Se gli serve qualche gettone per ripartire glielo do volentieri.»
«Ora sei tu a misurare la vita degli altri con il tuo metro. E se fosse una sua scelta?»
«Ah, giusto. Dopotutto, anche io volevo fermarmi. Scendo e chiedo.»

E’ un attimo. O meglio: un lungo attimo straziante. Smetto di inserire monete e sono fermo, a due metri dall’uomo in panne. Le previsioni teoriche della scimmia non hanno retto il confronto con la realtà: niente silenzio, niente nota. Solo una strana, profonda vibrazione. Direi quasi l’ohm tibetano, se non ne avessi già parlato una volta lungo il viaggio e non ci fosse in agguato il tarlo della noia.

Scendo dal carrello, salgo su quello del tizio fermo. Lui apre gli occhi e mi guarda, come terrorizzato…

«Che vuoi?»
«Ho capito il tuo insegnamento, maestro! La stasi, l’equilibrio e tutto! E’ meraviglioso stare fermi qui, e guardare gli altri che passano, affannandosi ad infilar gettoni…»
«In verità, in verità ti dico: sono molto orgoglioso di te. T’è avanzato qualche gettone?»
«Ecco qui tutti quelli che mi sono rimasti!»
«Ti servono?»
«Beh, immagino di no…»
«Me li dai?»
«Tieni.»

Mi fa segno di scendere dal carrello ed inserisce i gettoni nella fessura.

Ci avevo visto giusto: era bloccato qui. Peccato, speravo fosse uno che si godeva il panorama.

Torno sul mio carrello, la scimmia mi guarda riflessiva. Mormora, a fatica: «Era solo uno bloccato qui, eh?»
«Forse», rispondo, «o forse ha capito qualcosa più di noi ed ha voluto insegnarcelo ripartendo. Sai, i Maestri alle volte sono tipi strani.»

Visto che per ora non ho voglia di andare avanti a raccogliere gettoni mi fermo a sentirmi respirare. La scimmia dorme, io perdo la percezione del tempo… la stasi è dolce, a suo modo. Una volta ogni cento anni il custode ferma l’impianto, smonta tutto e controlla le rotaie.

Ma forse ne sono già passati ottocento o novecento, di anni, ed ancora non ho voglia di ripartire.
Prima o poi il tarlo della noia mi morderà, e via a gonfie vele.

«Scimmia?»
«Sì?»
«Dormi?»
«Non più.»
«Hai anche tu una sensazione di… déjà vu?»
«Ovvio.»
«E ci hai già rimuginato su, vero? Hai un mucchio di risposte da darmi?»
«Il fascino del tragico, la supponenza del didattico, bicchieri mezzi pieni e mezzi vuoti, cose così?»
«Anche. Ma soprattutto… cos’è cambiato? Cosa c’è di diverso, rispetto all’altra volta? Se qualcuno non ci sentisse parlare, come capirebbe la differenza? Quanti modi ci sono di vivere la stessa esperienza?»
«Che palle. Torna a dormire, filosofo, oppure raccogli qualche gettone ed andiamocene da qui. Dormivo tranquillo e generavo mostri.»

Commenti

4 risposte a “42 – oiggaiV (e addendum)”

  1. Avatar munchies

    Più bello questo ma più triste, in qualche modo. Non so perché, ma mi ha depresso… buhu :-(

  2. Avatar oracolo

    Credevo fosse più allegro, rispetto all’altro… ne parlerò con l’autore.

    Il fatto che questo possa sembrare più triste, però, è squisitamente in tema.

    Peccato per la depressione, non era intenzionale…

  3. Avatar Stefano

    Comincio ad adorare questo blog. Sempre se di blog si tratta …

  4. Avatar oracolo

    In effetti anche io ho qualche problema sulla definizione di questa cosa dove stiamo scrivendo.

    Ma è normale, fa parte dei bug del linguaggio :-)

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