Ero piccolo quando sperimentai per la prima volta la sensazione che la realtà non fosse reale.
Tornato dalla Sicilia, in un eterno pomeriggio domenicale, capii di dover sostituire il mio amato orologio da polso con calcolatrice.
Mi aveva spesso tenuto compagnia. Il dentista aveva anche detto che era un orologio da astronauta. Scrivevo un numero, premevo tante volte il tasto per estrarre la radice quadrata ed ottenevo uno. Nessuno aveva saputo spiegarmi perché succedesse: forse l’ho capito qualche lustro dopo.
Ma oramai era rotto e logoro, e ne avevo uno di riserva, con i tasti in gomma nera anziché grigia. Per il resto, quasi tutto identico: forse cambiava la posizione di qualche icona sul display lcd. Ancora non le chiamavo icone, probabilmente erano “disegnini”.
Realizzai che le cose si logorano e si rimpiazzano, e che tutti erano a conoscenza di questa scomoda realtà. Poi, senza apparente motivo, tutto iniziò a sembrarmi finto ed innaturale.
Non mi sono mai liberato del tutto da quella sensazione. Svanisce per ore, per giorni: poi torna, e mi sembra di vivere in un luogo assurdo, con un corpo assurdo ed una mente assurda. Mi addormento sperando che passi, e mi risveglio ancora più confuso.
Guardo film come Matrix, penso a Yesod ed al velo di Maya, e realizzo che non sono solo.
Forse è un bug del nostro sofisticato raziocinio.
Anzi, del vostro sofisticato raziocinio. Io mi definisco semplice e confuso.
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